domenica 13 giugno 2010

GIACOMO LEOPARDI

Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Leopardi (disambigua).
« E 'l naufragar m'è dolce in questo mare »
(L'infinito, Giacomo Leopardi)

Giacomo Leopardi, al battesimo conte Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837), fu un poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano. È ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché una delle principali del Romanticismo letterario; la profondità della sua riflessione sull'esistenza e sulla condizione umana - di ispirazione sensista e materialista - ne fa anche un filosofo di notevole spessore. La straordinaria qualità lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel panorama letterario e culturale europeo e internazionale, con ricadute che vanno molto oltre la sua epoca.
Il dibattito sull'opera leopardiana a partire dal Novecento, specialmente in relazione al pensiero esistenzialista fra gli anni trenta e cinquanta, ha portato gli esegeti ad approfondire l'analisi filosofica dei contenuti e significati dei suoi testi. Per quanto resi specialmente nelle opere in prosa, essi trovano precise corrispondenze a livello lirico in una linea unitaria di atteggiamento esistenziale. Riflessione filosofica ed empito poetico fanno sì che Leopardi, al pari di Schopenhauer e più tardi di Kafka, possa essere visto come un esistenzialista o almeno un precursore dell'esistenzialismo.
Uno dei crateri del pianeta Mercurio è stato chiamato Leopardi in suo onore.
Indice [nascondi]
1 Biografia
1.1 L'infanzia
1.2 La formazione giovanile
1.2.1 La produzione dei "puerili"
1.3 La formazione personale
1.4 La conversione letteraria: dall'erudizione al bello
1.5 La conversione filosofica: dal bello al vero
1.6 La teoria del piacere
1.7 I mutamenti profondi del 1817
1.7.1 La corrispondenza con Pietro Giordani
1.7.2 Il primo amore
1.8 Verso una posizione romantica
1.9 La prima fase dell'ideologia leopardiana
1.10 Il soggiorno a Roma e il ritorno a Recanati
1.11 Lontano da Recanati: Milano, Bologna, Firenze, Pisa
1.12 Il ritorno a Recanati
1.13 A Firenze dal 1830 al 1833
1.14 A Napoli: la morte
2 Poetica
3 Luoghi leopardiani
4 Opere
5 Poesia e musica
6 Epistolario
7 Note
8 Bibliografia
8.1 Edizioni delle opere
8.2 Opere biografiche
8.3 Opere critiche
9 Voci correlate
10 Altri progetti
11 Collegamenti esterni
Biografia

L'infanzia


Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a Recanati, in provincia di Macerata, nelle Marche (allora appartenenti allo Stato pontificio), da una delle più nobili famiglie del paese, primo di otto figli. Il padre, il conte Monaldo, figlio del conte Giacomo e della marchesa Virginia Mosca di Pesaro, uomo amante degli studi e d'idee reazionarie; la madre, la marchesa Adelaide Antici, era una donna energica, legata alle convenzioni sociali e ad un concetto profondo di dignità della famiglia, motivo di sofferenza per il giovane Giacomo, che non ricevette tutto l'affetto di cui aveva bisogno.[1]
In conseguenza di alcune speculazioni azzardate fatte dal marito[2], la marchesa prese in mano un patrimonio familiare dissestato, riuscendo a rimetterlo in sesto grazie ad una rigida economia domestica.[3] I sacrifici economici e i pregiudizi nobiliari dei genitori resero infelice il giovane Giacomo che, costretto a vivere in un piccolo borgo di provincia e in uno stato tra i più retrogradi d'Italia, rimase escluso dalle correnti di pensiero che circolavano nel resto del paese e in Europa.
Fino al termine dell'infanzia Giacomo crebbe comunque allegro, giocando volentieri con i suoi fratelli, soprattutto con Carlo e Paolina che erano più vicini a lui d'età e che amava intrattenere con racconti ricchi di fervida fantasia.
La formazione giovanile
Ricevette la prima educazione come da tradizione familiare, da due precettori ecclesiastici, il gesuita don Giuseppe Torres fino al 1808 e l'abate don Sebastiano Sanchini fino al 1812, che influirono sulla sua prima formazione con metodi improntati alla scuola gesuitica. Tali metodi erano incentrati non solo sullo studio del latino, della teologia e della filosofia, ma anche su una formazione scientifica di buon livello contenutistico e metodologico. Nel Museo leopardiano a Recanati è conservato infatti il frontespizio di un trattatello sulla chimica, composto insieme al fratello Carlo.[4] I momenti significativi delle sue attività di studio, che si svolgono all'interno del nucleo familiare, sono da rintracciare nei saggi finali, nei componimenti letterari da donare al padre in occasione delle feste natalizie, la stesura di quaderni molto ordinati e accurati e qualche composizione di carattere religioso da recitare in occasione della riunione della Congregazione dei nobili.
Il ruolo avuto dai precettori non impedì comunque al giovane Leopardi di intraprendere un suo personale percorso di studi avvalendosi della biblioteca paterna molto fornita (oltre 16000 volumi) e di altre biblioteche recanatesi, come quella degli Antici, dei Roberti e probabilmente da quella di Giuseppe Antonio Vogel, esule in Italia in seguito alla Rivoluzione francese e giunto a Recanati tra il 1806 e il 1809 come membro onorario della cattedrale della cittadina. Nel 1809 il giovane Giacomo compone il sonetto intitolato La morte di Ettore che, come lui stesso scrive nell'Indice delle produzioni di me Giacomo Leopardi dall'anno 1809 in poi[5], è da considerarsi la sua prima composizione poetica. Da questi anni ha inizio la produzione di tutti quegli scritti chiamati "puerili".
La produzione dei "puerili"
Il corpus delle opere così dette "puerili" [6] dimostrano che il giovane Leopardi sapeva scrivere in latino fin dall'età di nove-dieci anni e sapeva padroneggiare i metodi di versificazione italiana in voga nel settecento, come i metri barbari di Fantoni, oltre ad avere una passione per le burle in versi dirette al precettore ed ai fratelli.
Nel 1810 iniziò lo studio della filosofia, e due anni dopo, come sintesi della sua formazione giovanile, scrisse le Dissertazioni filosofiche, che riguardano argomenti di logica, filosofia, morale, fisica teorica e sperimentale (astronomia, gravitazione, idrodinamica, teoria dell'elettricità, eccetera). Tra queste è nota la Dissertazione sopra l'anima delle bestie. Nel 1812, con la presentazione pubblica del suo saggio di studi che discusse davanti a esaminatori di vari ordini religiosi e al vescovo, si può far concludere il periodo della sua prima formazione che è soprattutto di tipo sei-settecentesco ed evidenzia l'amore per l'erudizione e uno spiccato gusto arcadico[7].
La formazione personale


Primi due volumi di Opere
Cessata la formazione nel 1812 dell'abate Sanchini, il quale ritenne inutile continuare la formazione del giovane che ne sapeva ormai più di lui, Leopardi si immerse totalmente in uno studio "matto e disperatissimo"[8], della durata di sette anni, che assorbì tutte le sue energie e che recò gravi danni alla sua salute. Senza l'aiuto di maestri apprese il greco e l'ebraico e, seppure in modo più sommario, altre lingue e compose poi opere di grande impegno ed erudizione. Risalgono a questi anni la Storia dell'astronomia del 1813, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi del 1815, diversi discorsi su scrittori classici, alcune traduzioni poetiche, dei versi e le tre tragedie La virtù indiana, Pompeo in Egitto e Maria Antonietta (rimasta incompiuta).
Iniziò anche le prime pubblicazioni e lavorò alle traduzioni dal latino e dal greco dimostrando sempre di più il suo interesse per l'attività filologica. Sono questi anche gli anni dedicati alle traduzioni dal latino e dal greco corredate di discorsi introduttivi e di note, tra i quali gli Scherzi epigrammatici tradotti dal greco del 1814 e pubblicati in occasione delle nozze Santacroce-Torre dalla Tipografia Frattini di Recanati nel 1816, la Batracomiomachia nel 1815 e pubblicata su «Lo Spettatore italiano» il 30 novembre 1816, gli idilli di Mosco, il Saggio di traduzioni dell'Odissea, la Traduzione del libro secondo dell'Eneide e la Titanomachia di Esiodo, pubblicata su «Lo Spettatore italiano» il 1º giugno 1817.
La conversione letteraria: dall'erudizione al bello
Tra il 1815 e il 1816 si avverte in Leopardi un forte cambiamento frutto di una profonda crisi spirituale che lo porterà ad abbandonare l'erudizione per dedicarsi alla poesia. Egli si rivolge pertanto ai classici, non più come ad arido materiale adatto a considerazioni filologiche ma come a modelli di poesia da studiare. Seguiranno le letture di autori moderni come l'Alfieri, il Parini, il Foscolo e il Monti che servirono a maturare la sua sensibilità romantica.[9] Ben presto egli legge il Werther di Goethe, le opere di Chateaubriand, di Byron, di Madame de Staël. In questo modo il Leopardi inizia a liberarsi dall'educazione paterna accademica e sterile, a rendersi conto della ristrettezza della cultura recanatese e a porre le basi per liberarsi dai condizionamenti familiari. Appartengono a questo periodo alcune poesie significative come Le Rimembranze, L'Appressamento della morte e l'Inno a Nettuno.
La conversione filosofica: dal bello al vero
« E fango è il mondo »
(A se stesso, Giacomo Leopardi)
Dopo il primo passo verso il distacco dall'ambiente giovanile e con la maturazione di una nuova ideologia e sensibilità che lo portò a scoprire il bello in senso non arcaico ma neoclassico, si annuncia nel 1817 quel passaggio dalla poesia di immaginazione degli antichi alla poesia sentimentale, che il poeta definì l'unica ricca di riflessioni e convincimenti filosofici.
La teoria del piacere
La "teoria del piacere" è una concezione filosofica postulata da Leopardi nel corso della sua vita. La maggiore parte della teorizzazione di tale concezione è contenuta nello Zibaldone, in cui il poeta cerca di esporre in modo organico la sua visione delle passioni umane. Il lavoro di sviluppo del pensiero leopardiano in questi termini avviene dal 12 al 25 luglio 1820[10].
La "teoria del piacere" sostiene che l'uomo nella sua vita tende sempre a ricercare un piacere infinito, come soddisfazione di un desiderio illimitato. Esso viene cercato soprattutto grazie alla facoltà immaginativa dell'uomo, che può concepire le cose che non sono reali. Poiché grazie alla facoltà immaginativa l'uomo può figurarsi piaceri inesistenti, e figurarseli come infiniti in numero, durata ed estensione, non bisogna stupirsi che la speranza sia il bene maggiore e che la felicità umana corrisponda all'immaginazione stessa. La natura fornisce tale facoltà all'uomo come strumento per giungere non alla verità, ma ad un'illusoria felicità.
Anche l'occupazione (che può essere considerata la soddisfazione continua degli svariati bisogni che la natura ha fornito agli uomini) è una condizione che porta felicità nella vita dell'uomo. Ad essa si oppone il tedio, la noia, che è il male più grande che possa affliggere l'umanità (vedi la canzone Ad Angelo Mai ed altri testi). La felicità, dunque, è più facilmente trovata dai fanciulli che riescono sempre ad immaginare e perdersi dietro ogni "bagattella", ovvero riescono a distrarsi con ogni sciocchezza.
Secondo Leopardi, l'umanità poteva essere più vicina alla felicità nel mondo antico, quando la conoscenza scarsa lasciava libero corso all'immaginazione; nel mondo moderno, invece, la conquista del vero ha portato l'immaginazione ad indebolirsi, fino a sparire del tutto negli adulti.
I mutamenti profondi del 1817
Il 1817 fu per il Leopardi, che giunto alle soglie dei diciannove anni aveva avvertito in tutta la sua intensità il peso dei suoi mali e della condizione infelice che ne derivava, un anno decisivo che determinò nel suo animo profondi mutamenti. Consapevole ormai del suo desiderio di gloria e insofferente dell'angusto confine in cui fino a quel momento era stato costretto a vivere, sentì l'urgente desiderio di uscire, in qualche modo, dall'ambiente recanatese. Gli avvenimenti seguenti incideranno sulla sua vita e sulla sua attività intellettuale in modo determinante.
La corrispondenza con Pietro Giordani


Pietro Giordani
In quell'anno egli scrisse al classicista e purista Pietro Giordani che aveva letto la traduzione del Leopardi del II libro dell'Eneide e, avendo compreso la grandezza del giovane, lo aveva incoraggiato. Ebbe inizio così una fitta corrispondenza e un rapporto di amicizia che durerà nel tempo. In una delle prime lettere scritte al nuovo amico, datata 30 aprile 1817, il giovane Leopardi sfogherà il suo malessere, non con atteggiamento remissivo ma polemico e aggressivo:
« Mi ritengono un ragazzo, e i più ci aggiungono i titoli di saccentuzzo, di filosofo, di eremita, e che so io. Di maniera che s'io m'arrischio di confortare chicchessia a comprare un libro, o mi risponde con una risata, o mi si mette in sul serio e mi dice che non è più quel tempo [...] Unico divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia »
Egli vuole uscire da quel "centro dell'inciviltà e dell'ignoranza europea" perché sa che al di fuori c'è quella vita alla quale egli si è preparato ad inserirsi con impegno e con studio profondo.
Nell'estate 1817 fissa le prime osservazioni all'interno di un diario di pensiero che prenderà poi il nome di Zibaldone, in dicembre si innamorerà per la prima volta della cugina. Pietro Giordani riconosce l'abilità di scrittura di Leopardi e lo incita a dedicarsi alla scrittura, inoltre lo presenta all'ambiente del periodico «Biblioteca Italiana» e lo fa partecipare al dibattito culturale tra classici e romantici. Leopardi difende la cultura classica e ringrazia Dio di aver incontrato Giordani che reputa l'unica persona che riesce a comprenderlo.
Il primo amore
Nel luglio del 1817 il Leopardi iniziò a compilare lo Zibaldone, nel quale registrerà fino al 1832 le sue riflessioni, le note filologiche e gli spunti di opere. Lesse la vita di Alfieri e compilò il sonetto "Letta la vita scritta da esso" che toccava i temi della gloria e della fama. Alla fine del 1817 un altro avvenimento lo colpì profondamente: l'incontro, nel dicembre dello stesso anno, con Geltrude Cassi Lazzari, una cugina di Monaldo, che fu ospite presso la famiglia per alcuni giorni e per la quale provò un amore inespresso. Scrisse in questa occasione il "Diario del primo amore" e l' "Elegia I" che verrà in seguito inclusa nei "Canti" con il titolo "Il primo amore".
Verso una posizione romantica
Fra il 1816 e il 1818 la posizione di Leopardi verso il Romanticismo, che stava suscitando in quegli anni forti polemiche e aveva ispirato la pubblicazione del Conciliatore, va maturando e se ne possono avvertire le tracce in numerosi passi dello Zibaldone e nei due saggi, la Lettera ai Sigg. compilatori della "Biblioteca italiana" scritta nel 1816 in risposta a quella di Madama la baronessa di Staël e il Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica, scritto in risposta alle Osservazioni di Di Breme sul Giaurro di Byron. Aveva intanto scritto le due canzoni ispirate a motivi patriottici All'Italia e Sopra il monumento di Dante che stanno ad attestare il suo spirito liberale e la sua adesione a quel tipo di letteratura di impegno civile che aveva appreso dal Giordani.
La prima fase dell'ideologia leopardiana


Secondo manoscritto autografo (Visso, Archivio comunale)
Nel 1819 una malattia agli occhi, che lo privò persino del conforto dello studio, lo gettò in una profonda prostrazione che acuì la sua insofferenza per la vita recanatese. Tra il luglio e l'agosto progettò la fuga e cercò di procurarsi un passaporto per il Lombardo-Veneto, da un amico di famiglia, il conte Saverio Broglio d'Ajano, ma il padre lo venne a sapere e il progetto di fuga fallì. Fu appunto nei mesi che seguirono che il Leopardi elaborò le prime basi della sua filosofia e riflettendo sulla vanità delle speranze e l'ineluttabilità del dolore, scoprì la nullità delle cose e del dolore stesso. Iniziò intanto la composizione di quei canti che verranno in seguito pubblicati con il titolo di Idilli e scrisse L'infinito, La sera del dì di festa e Alla luna.
Il soggiorno a Roma e il ritorno a Recanati
Nell'autunno del 1822 ottenne dai genitori il permesso di recarsi a Roma, dove rimase dal novembre all'aprile dell'anno successivo, ospite dello zio materno, Carlo Antici. A Leopardi Roma apparve squallida e modesta[11] al confronto con l'immagine idealizzata che egli si era figurata fantasticando sulle "sudate carte"[12] dei classici. Rimase invece entusiasta della tomba di Torquato Tasso, al quale si sentiva accomunato dall'innata infelicità. Nell'ambiente culturale romano Leopardi visse isolato e frequentò solamente studiosi stranieri, tra cui i filologi Christian Bunsen e Barthold Niebuhr; quest'ultimo si interessò per farlo entrare nella carriera dell'amministrazione pontificia, ma Leopardi rifiutò. Nell'aprile del 1823 Leopardi ritornò a Recanati dopo aver constatato che il mondo al di fuori di esso non era quello sperato. Tornato a Recanati, Leopardi si dedicò alle canzoni di contenuto filosofico o dottrinale e tra il gennaio e il novembre del 1824 compose buona parte delle Operette morali.
Lontano da Recanati: Milano, Bologna, Firenze, Pisa


La casa natale
Nel 1825 il poeta, invitato dall'editore Antonio Fortunato Stella si recò a Milano con l'incarico di dirigere l'edizione completa delle opere di Cicerone e altre edizioni di classici latini e italiani. A Milano però egli non rimase a lungo perché il clima gli era dannoso alla salute e l'ambiente culturale, troppo polarizzato intorno al Monti, gli recava noia.
Decise così di trasferirsi a Bologna dove visse (al numero 33 di via Santo Stefano), tranne una breve permanenza a Recanati nell'inverno del 1827, sino al giugno di quello stesso anno mantenendosi con l'assegno mensile dello Stella e dando lezioni private. Nell'ambiente bolognese il Leopardi conobbe il conte Carlo Pepoli, patriota e letterato al quale dedicò un'epistola in versi intitolata Al conte Carlo Pepoli che lesse il 28 marzo 1826 nell'Accademia dei Felsinei. Nell'autunno iniziò a compilare, per ordine di Stella, una "Crestomazia", antologia di prosatori italiani dal Trecento al Settecento che venne pubblicata nel 1827 alla quale fece seguito, l'anno successivo, una "Crestomazia" poetica. A Bologna conobbe anche la contessa Teresa Carniani Malvezzi, della quale si innamorò senza essere corrisposto. Uscivano intanto presso Stella le sue Operette morali.
Nel giugno dello stesso anno si trasferì a Firenze dove conobbe il gruppo di letterati appartenenti al circolo Viesseux tra i quali Gino Capponi, Giovanni Battista Niccolini, Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo ed anche il Manzoni che si trovava a Firenze per rivedere dal punto di vista linguistico i suoi Promessi Sposi.
Nel novembre del 1827 si recò a Pisa dove rimase fino alla metà del 1828. A Pisa, grazie all'inverno mite, la sua salute migliorò e il Leopardi tornò alla poesia, che taceva dal 1823, e compose la canzonetta in strofe metastasiane Il Risorgimento e il canto A Silvia inaugurando il periodo creativo detto dei Canti "pisano-recanatesi", chiamati anche "grandi idilli", in cui il poeta sperimenta la cosiddetta canzone libera o canzone leopardiana.
Il ritorno a Recanati
Purtroppo il periodo di benessere era finito e il poeta, colpito nuovamente dalle sofferenze e dall'aggravarsi del disturbo agli occhi, fu costretto a sciogliere il contratto con Stella e durante l'estate del '28 si recò a Firenze nella speranza di trovare un modo per poter vivere in modo indipendente. Ma le sue condizioni di salute non glielo permisero ed egli fu costretto a ritornare a Recanati dove rimase fino al 1830. In questi due anni il Leopardi si dedicò alla poesia e scrisse alcune delle sue liriche più importanti, tra cui Le ricordanze, Il sabato del villaggio, La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Queste poesie, a lungo denominate dai critici "Grandi idilli", sono ora conosciute, insieme ad A Silvia come "Canti pisano-recanatesi"[13].
A Firenze dal 1830 al 1833
Intanto, nell'aprile del 1830, il Colletta, al quale il poeta scriveva della sua vita infelice, gli offrì, grazie ad una sottoscrizione degli "amici di Toscana",[14] l'opportunità di tornare a Firenze, dove il 27 dicembre 1831 fu eletto socio dell'Accademia della Crusca[15]. Nello stesso 1831 a Firenze curò un'edizione dei "Canti", partecipò ai convegni dei liberali fiorentini e strinse un'affettuosa amicizia col giovane esule napoletano Antonio Ranieri. Risale a questo periodo la forte passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti, conclusasi in una delusione, che gli ispirò il cosiddetto "ciclo di Aspasia", una raccolta di poesie scritte tra il 1830 e il 1835 che contiene: "Il pensiero dominante", "Amore e morte", "A se stesso", "Consalvo" e "Aspasia". Nell'autunno del 1831 si recò a Roma con Ranieri per ritornare a Firenze nel 1832 e nel corso di questo anno scrisse i due ultimi dialoghi delle "Operette", Il "Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere" e il "Dialogo di Tristano e di un amico".


La tomba di Leopardi (Parco Vergiliano a Piedigrotta o Parco della Tomba di Virgilio, Napoli)
A Napoli: la morte
Nel settembre del 1833, dopo aver ottenuto un modesto assegno dalla famiglia, partì per Napoli con l'amico Ranieri sperando che il clima mite di quella città potesse giovare alla sua salute. Durante gli anni trascorsi a Napoli si dedicò alla stesura dei "Pensieri" che raccolse probabilmente tra il 1831 e il 1835 e riprese i Paralipomeni della Batracomiomachia che, iniziati nel 1831, aveva interrotto. A quest'ultima opera lavorò, assistito dal Ranieri, fino agli ultimi giorni di vita. Nel 1836, quando a Napoli scoppiò l'epidemia di colera, il Leopardi si recò con Ranieri e la sorella di questi, Paolina, nella Villa Ferrigni a Torre del Greco, dove rimase dall'estate di quell'anno al febbraio del 1837.
In questo luogo egli compose gli ultimi Canti La ginestra o il fiore del deserto (nel quale si coglie l'invocazione ad una fraterna solidarietà contro l'oppressione della natura) e Il tramonto della luna (compiuto solo poche ore prima di morire). Nel febbraio del 1837 ritornò a Napoli con il Ranieri, ma le sue condizioni si aggravarono e il 14 giugno di quell'anno morì[16].
La morte del poeta è stata analizzata da studiosi di medicina già a partire dall'inizio del XX secolo. Molte sono state le ipotesi, dalla più accreditata, pericardite acuta, a quelle più fantasiose, cibo avariato. Nessuna delle tesi alternative, tuttavia, è riuscita a smentire il referto ufficiale, diffuso dall'amico, patriota e scrittore partenopeo, Antonio Ranieri: idropisia. Leopardi era morto all'età di 39 anni, in un periodo in cui il colera stava colpendo la città di Napoli. Studi recenti hanno avanzato l'ipotesi che il poeta, amante di dolci, sia morto per una indigestione di confetti di Sulmona, regalati dalla sorella di Ranieri. Causa della morte non sarebbe stata quindi né un'idropisia, né il colera sostenuto da molti studiosi. Un'altra ipotesi parla di congestione intestinale, causata da una tazza di brodo caldo di pollo e una limonata fredda.[17].
Grazie ad Antonio Ranieri, che fece interessare della questione il ministro di Polizia, le sue spoglie non furono gettate in una fossa comune – come le severe norme igieniche richiedevano a causa del colera che colpiva ancora la città – ma inumate nell'atrio della chiesa di San Vitale, sulla via di Pozzuoli presso Fuorigrotta. Nel 1939 la sua tomba, spostata al Parco Vergiliano a Piedigrotta (altrimenti detto Parco della tomba di Virgilio) nel quartiere Mergellina, fu dichiarata monumento nazionale.
Poetica

Per approfondire, vedi le voci Giacomo Leopardi (poetica) e Pessimismo (Leopardi).
Luoghi leopardiani

Palazzo Leopardi: è la casa natale del poeta. Tuttora il palazzo è abitato dai discendenti e aperto al pubblico. Esso venne ristrutturato nelle forme attuali dall'architetto Carlo Orazio Leopardi verso la metà del XVIII secolo. L'ambiente più suggestivo è senza dubbio la biblioteca, che custodisce oltre 20.000 volumi, tra cui incunaboli ed antichi volumi, raccolti dal padre del poeta, Monaldo Leopardi.
Piazzetta del Sabato del Villaggio: sulla quale si affaccia Palazzo Leopardi. Ivi si trova la casa di Silvia e la chiesa di Santa Maria in Montemorello (XVI secolo), nel cui fonte battesimale fu battezzato Giacomo Leopardi nel 1798.
Colle dell'Infinito: è la sommità del Monte Tabor da cui si domina un panorama vastissimo verso le montagne e che ispirò l'omonima poesia composta dal poeta a soli 21 anni. All'interno del parco troviamo il Centro Mondiale della Poesia e della Cultura, sede di convegni, seminari, conferenze e manifestazioni culturali.
Palazzo Antici-Mattei: casa della madre di Leopardi, Adelaide Antici Mattei, edificio dalle linee semplici ed eleganti con iscrizioni in latino.
Torre del Passero Solitario: nel cortile del chiostro di Sant'Agostino è visibile la torre, decapitata da un fulmine e resa celebre dalla poesia "Il passero solitario".
Opere

File:A sè stesso.jpg
A sé stesso, ed. Ricordi, musica di Francesco Paolo Frontini
Per approfondire, vedi la voce Opere di Giacomo Leopardi.
Canzoni (1824), edizione "Annesio", Napoli. È il primo grande libro di poesie di Giacomo dove si presenta in veste di poeta etico e civile. L'opera aduna 10 componimenti scritti tra il 1818/23 e sono in ordine cronologico:
All'Italia
Sopra il monumento di Dante che si prepara in Firenze
Ad Angelo Mai quand'ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica (con dedicatoria a Leonardo Trissino)
Nelle nozze della sorella Paolina
A un vincitore nel pallone
Bruto minore
Alla primavera o delle favole antiche
Ultimo canto di Saffo
Inno ai patriarchi o dè principii del genere umano
Alla sua donna
Versi (1826), edizione "Stamperia Le Muse", a cura di Pietro Brighenti, Bologna. Pubblicato a proprie spese è la seconda e rilevante silloge poetica di Giacomo. Comprende tutti i testi approvati non inclusi nelle CANZONI del '24:
Idilli
L'infinito. Idillio I
La sera del giorno festivo. Idillio II
La ricordanza. Idillio III
Il sogno. Idillio IV
Lo spavento notturno. Idillio V
La vita solitaria. Idillio VI
Elegie
Elegia I
Elegia II
Sonetti in persona di Ser Pecora Fiorentino Beccaio
Sonetto I
Sonetto II
Sonetto III
Sonetto IV
Sonetto V
Epistola
Epistola al Conte Carlo Pepoli
Guerra dei topi e delle rane
Canto I
Canto II
Canto III
Volgarizzazione della satira di Simonide sopra le donne
Canti (1831), edizione "Piatti", Firenze. Struttura tripartita con Canzoni, idilli e canti pisano-recanatesi. Si compone di 23 componimenti:
All'Italia
Sopra il monumento di Dante che si prepara in Firenze
Ad Angelo Mai quand'ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica [con dedicatoria a Leonardo Trissino]
Nelle nozze della sorella Paolina
A un vincitore nel pallone
Bruto minore
Alla primavera o delle favole antiche
Inno ai patriarchi o dè principii del genere umano
Ultimo canto di Saffo
Il primo amore [Elegia I B24]
L'infinito. Idillio I
La sera del giorno festivo. Idillio II
Alla luna [La ricordanza]
Il sogno
La vita solitaria
Alla sua donna
Al Conte Carlo Pepoli
Il risorgimento
A Silvia
Le ricordanze
Canto notturno di un pastore errante dell'Asia
La quiete dopo la tempesta
Il sabato del villaggio

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